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Macerata: Selfie brutto, Contigiani (Pari opportunità): 'Questa campagna non sensibilizza, ridicolizza un problema'

È piuttosto facile darsi una truccatina per farsi un occhio nero che ‘simuli’ le botte subite. Ci vuole un attimo e fa sembrare che ti stai occupando di violenza. Invece no, non ti sei occupata di violenza, hai fatto – nella migliore delle ipotesi pubblicità – ma senza che questo abbia aggiunto niente alla tua conoscenza del fenomeno e ancor meno a quella degli altri (giovani adolescenti, uomini riottosi a comprenderne la gravità, soggetti istituzionali che stentano a mettere in campo le risorse – non solo finanziarie – necessarie).

Non hai studiato, non hai conosciuto, non hai faticato per cercare come e dove poter mettere mano ad azioni concrete (individuali-private ma anche istituzionali) che vogliano affrontare le cause (culturali, psicologiche) che portano ad un vero e proprio conflitto sociale per cui i forti malmenano i deboli senza tanti complimenti. Non hai conosciuto né voluto conoscere, non ci hai messo la tua fatica, il tuo tempo, le tue risorse emotive.

E questo è il primo punto: conoscere e poi agire. Ma prima faticare per conoscere perché ciò spesso aiuta ad evitare la superficialità contemporanea per cui tutto si risolve nel ‘virtuale’ e nell’immagine, spesso lasciando intatta la realtà così com’è. E quella della violenza di genere (quella domestica se fosse possibile ancor di più) è una realtà schifosa, schifosa e basta e non va via con un po’ di latte detergente. Non ci sono mezze misure da negoziare, semmai cause e contesti culturali da rimuovere, da superare. Toccare con mano per credere mi verrebbe da dire a chi irresponsabilmente trasmette il messaggio che in fondo tutto ciò sia quasi un gioco.

È stupefacente vedere come si possano risolvere in un click fotografico le mille e mille forme di violenza che finalmente cominciano ad emergere, le mille sfaccettature della sudditanza psicologica e della sudditanza fisica che inchioda le vittime di fronte al loro carnefice mentre noi, la società, a volte ci giriamo dall’altra parte per imbarazzo, per titubanza. Eh già, perché le violentate, le malmenate, le massacrate ridotte in fin di vita spesso ce li coprono i lividi con il trucco. Li coprono e si coprono: per pudore, per vergogna, per solitudine. Scimmiottarle con un colpo d’ombretto ridicolizza un tema assai delicato, lo rende un fenomeno da baraccone, offende.

E questo è l’altro punto, pure moralistico se volete, ma innegabile. La violenza, quella vera, quella che ci raccontano le donne che sono riuscite ad uscirne o gli operatori dei pronto soccorso dove quelle arrivano pur negando ogni cosa, quella violenza lede organi interni, procura aborti, annichilisce l’amor proprio e tutto questo non si vede, i più non lo vedono. Quando la violenza la vedono i più, spesso, è perché ha ucciso.

Questa campagna non sensibilizza, ma ridicolizza un problema immanente alla nostra società che ha a che fare con la salute e la vita. Mette chi non ha strumenti ed elementi ulteriori nella condizione di cominciare a pensare che esiste una ‘violenza vera’ e una ‘violenza finta’ (con il trucco appunto, mai metafora fu più appropriata) ed è quindi dannosa, distorsiva, falsante. Avvilisce che la stiano promuovendo delle amministratrici pubbliche, pure ammettendone le migliori intenzioni.

Ninfa Contigiani
Presidente della Commissione pari opportunità
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Ninfa Contigiani