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Il terremoto in carcere: detenuti e agenti chiusi dentro

Antigone Marche: un primo resoconto di come si sono vissuti quei momenti negli istituti di pena della nostra regione. Procedure di evacuazione non messe in atto e di difficile applicazione. Da Ministero e Protezione Civile nessuna comunicazione su come agire.

Non è chiaro come sia nato questo modo di dire, «Fare la fine del topo». Certo è che, in caso di terremoto, questa è la prospettiva per chi sta chiuso in cella. E in una situazione simile si trova anche chi si occupa della sorveglianza. "Ho pensato che potevamo fare la fine dei topi in gabbia": queste le parole di un detenuto che riassumono in modo segnificativo lo stato d'animo di chi si trova in carcere. Qui, infatti, bisogna dimenticare i film americani, dove con un pulsante si aprono automaticamente tutte le celle. Nelle carceri nostrane, l'agente di polizia di turno (e di notte il personale è ridotto all'osso...), per garantire un'evacuazione in caso di calamità, dovrebbe aprire una serie di cancelli per entrare in sezione e poi i blindi e le grate. Ovviamente, in sezione non esistono uscite di sicurezza con apertura a spinta.

Nel momento in cui si verificava la scossa sismica del 23 agosto scorso i detenuti erano nelle loro celle chiuse e, per quanto ne sappiamo, sono rimasti all'interno anche durante le scosse successive. Non risulta che dal Ministero o dalla Protezione Civile sia arrivata disposizione di agire diversamente. Per cui anche il personale di custodia è rimasto all'interno della struttura.

Un altro detenuto dice: "Avrei certamente preferito che fossimo usciti nel campo, ho avuto veramente paura". Ancora: "Uno di noi ha avuto una crisi isterica perché le crepe nella sua cella sono aumentate di dimensione". In alcune strutture, del resto, è anche difficile pensare ad un'evacuazione sicura perché come a Camerino non c'è un campo da calcio, ma solo piccoli cortili tra quattro mura.

Inoltre, non risulta che il giorno seguente sia stato concesso ai detenuti di mettersi in contatto telefonico con le proprie famiglie per rassicurarle sulle proprie personali condizioni ed accertarsi della condizione dei propri familiari. Neanche a coloro che hanno parenti nelle Marche meridionali interessate più direttamente dal sisma.Puoi commentare l'articolo su Vivere Pesaro


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