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Francescanesimo e cucina nel Fermano: un’eredità spirituale, sociale e gastronomica che parla all’Italia di oggi

Il territorio di Fermo custodisce una delle più dense e antiche presenze francescane al mondo: santi, beati, luoghi di culto e testimonianze che intrecciano spiritualità, cultura materiale e vita quotidiana. Accanto al patrimonio artistico e religioso, il Fermano conserva una tradizione gastronomica segnata dall’austerità e dalla convivialità francescana: un modello che unisce semplicità, attenzione al creato e fraternità. Questo articolo esplora le radici storiche della presenza minoritica nel Fermano e offre una lettura approfondita del rapporto tra francescani e cibo, dalle ricette medievali alle pratiche ascetiche, dai simboli del pane e del pesce alla teologia della festa.

Pochi luoghi, come il Fermano, possono vantare una così larga costellazione di figure francescane: il Beato Giovanni da Fermo, fra Ugolino da Montegiorgio — tradizionalmente identificato come l’autore dei Fioretti — e i Beati Pellegrino e Jacopo di Falerone sono solo alcuni dei protagonisti di una storia che attraversa borghi, conventi, chiese e archivi. Fermo, con la sua splendida chiesa gotica di San Francesco e il monastero delle Clarisse, è il cuore di questa memoria. Ma la presenza minoritica si irradia in tutto il territorio: da Montegranaro a Sant’Elpidio a Mare, da Civitanova Marche a Massa Fermana, componendo una geografia spirituale densa e coerente.Il francescanesimo non è stato soltanto un movimento religioso: ha inciso sulla vita economica e civile del Fermano, come dimostra l’istituzione del Monte di Pietà (1469), nato per combattere l’usura e offrire credito equo ai più deboli. Segno di una visione cristiana e sociale insieme.Nella Regola non bollata, Francesco afferma: «chi mangia non disprezzi chi non mangia, e chi non mangia non giudichi chi mangia». È un manifesto di libertà e fraternità che spiega bene l’equilibrio francescano tra austerità e accoglienza.La cucina dei primi frati era povera ma non disprezzava la bontà del creato: pane, legumi, erbe spontanee, verdure, formaggi, uova, pesce, qualche carne bianca. Tutto — purché vissuto senza ingordigia — diventava lode al Creatore.La spiritualità alimentare francescana non coincide con il vegetarianismo contemporaneo, pur avendone alcuni tratti: l’astinenza è strumento di libertà interiore, non rifiuto del mondo. Da qui nasce il doppio volto della tavola minoritica: rigore ascetico e gioia conviviale.Le Fonti Francescane narrano un Francesco capace di lunghi digiuni, ma anche pronto a sospendere ogni rigore nel giorno di Natale: «voglio che anche i muri mangino carne», diceva. È la teologia della festa: l’Incarnazione ribalta le regole, il cibo diventa linguaggio di gioia cosmica, estesa poveri, animali, perfino alle pareti delle case.La storia francescana abbonda di episodi emblematici: i “mostaccioli” di frate Jacopa richiesti da Francesco morente; il “pasticcio di gamberi” offerto provvidenzialmente ai frati di Rieti; il luccio — chiamato allora “pesce squalo” — portato in dono al Santo malato; i frati che “minestrano”, cioè servono come una madre che nutre.Episodi che mostrano che la cucina francescana è insieme mistica e terrena, simbolica e pratica.Il Fermano conserva questo patrimonio spirituale e gastronomico in modo singolare. Le erbe dei conventi, le tradizioni locali dei pesci d’acqua dolce, le ricette medievali recuperate dagli archivi, l’antica maestria dei frati nell’uso curativo delle piante — come testimonia la Tabula della salute di fra Marco da Montegallo (1494) — compongono un mosaico unico, dove cultura e fede si intrecciano. Puoi commentare l'articolo su Vivere Fermo


Riccardo Renzi