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100 firme per il reddito di quarantena, precari scrivono a Ceriscioli

Partiamo da cento: cento firme. Un numero simbolico, che indica un’urgenza. Siamo una parte di quel mondo di non garantiti che la quarantena da coronavirus ha lasciato chiusi in casa senza un reddito o con il rischio di perderlo a breve.

Siamo educatori e lavoratori dello spettacolo, partite iva e lavoratori stagionali, operatori sociali e lavoratori del turismo, artigiani e cameriere, lavoratori della cultura e dello sport, piccole imprese e lavoratori autonomi, lavoratori delle cooperative e commesse.

Altri di noi sono operai, lavorano nella sanità o nei supermercati e al lavoro andiamo lo stesso e spesso sul posto non troviamo le attrezzature adeguate per la sicurezza della nostra e dell’altrui salute.

Il pomeriggio di mercoledì 18 marzo ci siamo ritrovati in una “assemblea virtuale”, una web call che ci ha permesso di vederci, parlarci, ascoltarci, confrontarci e iniziare a ragionare su come organizzarci per tutelare collettivamente i nostri diritti e la nostra dignità di lavoratori, lavoratrici e di persone.

Lo abbiamo fatto perché riteniamo che la campagna nazionale per il #redditodiquarantena sia una necessità e una opportunità. La necessità di affrontare la contingenza della continuità occupazionale e di reddito. La possibilità di conquistare nuove tutele sociali.

Questo confronto ci ha permesso di individuare alcune istanze, alcune rivendicazioni che vogliamo portare all’attenzione di tutte quelle persone che vivono le nostre stesse condizioni, ma anche all’attenzione delle principali cariche politiche e istituzionali regionali come il Presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, il Presidente dell’Anci Marche, Maurizio Mangialardi e i sindaci delle nostre città.

1) Gli educatori presenti hanno affermato la mancanza di chiarezza del “Cura Italia” riguardo a come e quando verranno stanziati e distribuiti i sostegni economici; la necessità di bloccare la conversione del lavoro a scuola in assistenza domiciliare per l’evidente rischio di infezione, soprattutto se questo avviene in assenza dei dovuti strumenti di protezione; l’erogazione del 100% del compenso ai lavoratori e alle lavoratrici rimasti a casa, come se le prestazioni fossero state regolarmente svolte; l’estensione di questa forma di reddito oltre l’emergenza economica da covid-19, come strumento di copertura per le ore di lavoro svolte in assenza dell’utente.

2) Le diverse partite-iva presenti hanno trovato una loro sintesi nell’affermare che il decreto “Cura Italia” non differenzia tra partite-iva individuali e quelle di società e che non vi è chiarezza di trattamento rispetto alle diverse casse di previdenza; che molti lavoratori non hanno a disposizione il materiale che gli consentirebbe di lavorare e di farlo in sicurezza; che “l’una tantum” non è garanzia di nessuna sicurezza di reddito e che la sospensione dei pagamenti fino al 31 maggio rischia di essere un boomerang in quanto molti si troveranno a giugno con meno introiti e grandi debiti. Questo rischia di far cadere il lavoratore dentro la spirale dell’indebitamento, con tutte le gravi conseguenze che ne derivano sia per l’attività, che per le condizioni di vita del lavoratore e dei suoi familiari.

3) Le istanze di operatori turistici, sportivi e lavoratori stagionali agricoli hanno trovato una loro convergenza nel rilevare l’insufficienza della proroga per la richiesta di disoccupazione agricola prevista nel decreto; l’incertezza assoluta su come recuperare le perdite dovute alla interruzione totale di ogni attività turistico-sportiva, di cui è un eloquente esempio l’annullamento di tutte le visite scolastiche; la specificità del sud delle Marche che vive un’emergenza nell’emergenza in quanto alle difficoltà socio-economiche derivate dalla quarantena, si aggiungono quelle ancora persistenti del disastro economico, sociale e territoriale seguito agli eventi sismici del 2016 e 2017.

4) Il decreto “Cura Italia” non dà risposte ai lavoratori a chiamata, agli intermittenti, alle lavoratrici domestiche e ai tirocinanti. Non dice quasi nulla su affitti, bollette e mutui. Infine, mantiene la disparità di diritti tra le categorie che possono accedere alle garanzie già previste e tutte le altre.

Per quanto ci riguarda il reddito di quarantena non serve solo a rispondere all’attuale emergenza ma anche e soprattutto a immaginare e costruire un nuovo welfare che possa garantire salari adeguati, equi e diritti universali a tutte e tutti, indipendentemente da come ognuno di noi è inserito nel mondo del lavoro e della produzione.

Rivendicare un Reddito di quarantena vuol dire affermare un concetto semplice: è necessario erogare denaro direttamente nelle tasche delle lavoratrici e dei lavoratori, immaginare e pretendere provvedimenti universali, che vadano nella direzione opposta alla frammentazione del lavoro e alla messa in solitudine del lavoratore. Oggi è più che mai necessario riunire quella forza lavoro che finora è stata divisa. Per finanziare un nuovo welfare i soldi ci sono se si fanno patrimoniali sulla grande ricchezza economica e finanziaria, soprattutto se si tassano i colossi del web che in questi giorni di #iorestoacasa stanno facendo enormi profitti grazie ai dati espropriati dalle nostre relazioni in rete. Infine, riteniamo che qualsiasi riforma del welfare in termini pubblici, universalistici e in grado di garantire autonomia all’individuo e sicurezza sociale debba riuscire ad assumere, per essere effettivo ed efficace, un dimensionamento europeo.

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