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Fermo: INTERVISTA - Bindelli, Banco Marchigiano. Liquidità alle imprese: ritardi nelle erogazioni, ecco perché.

Dalla fusione della Bcc di Civitanova Marche e Montecosaro con la Banca di Suasa nasce nel dicembre 2018 il Banco Marchigiano. Con 24 filiali, una copertura di 4 province (Pesaro, Ancona, Macerata e Fermo), 170 dipendenti e 9.000 soci esso rappresenta un istituto di riferimento per tutto il territorio regionale a supporto di famiglie e imprese proponendosi altresì come soggetto proattivo nel creare reti e sinergie tra le eccellenze imprenditoriali, culturali, associative e del no profit del territorio.

Con il dott. Marco Bindelli, vice presidente del Banco Marchigiano- Credito Cooperativo e consigliere delegato ai rapporti con il credito cooperativo e le Capogruppo, vogliamo entrare nel merito della vexata quaestio “ripresa economica post pandemia e trasferimento di liquidità alle PMI e micro imprese in difficoltà” come previsto dal Decreto Liquidità.

Il Consiglio dei Ministri del 6 aprile ha approvato l’atteso decreto sulla liquidità, un provvedimento definito dal Premier Conte una “potenza di fuoco”. Il denaro necessario alle imprese per ripartire tarda tuttavia ad arrivare. Cosa non sta funzionando? Banca o Stato: con chi deve prendersela l’imprenditore?

 

Il problema è nato dal principio. Il Governo in conferenza stampa e, di conseguenza, i media hanno lasciato intendere che fino a € 25.000 bastava andare in banca e domandare la somma perché questa venisse automaticamente concessa. Non è così. Lo Stato, attraverso il Fondo centrale di Garanzia, ha solo apposto una garanzia al 100%. In pratica per i prestiti fino a € 25.000 lo Stato ha detto “se un domani il cliente non dovesse restituire la somma ci penso io”. Chi dunque presta il denaro non è lo Stato (fidato sì ma pur sempre mero garante) ma la banca e le somme che essa presta sono in larga parte dei risparmiatori. Questo ha fatto sì che si creassero attriti tra banche e clienti e in mezzo ci son finiti anche i commercialisti, i consulenti finanziari, i consulenti del lavoro e gli avvocati i quali, in un primo momento, hanno creduto alla storia del tutto e subito. Col tempo però i nodi sono venuti al pettine. Non solo: è stato anche fatto credere che tutto sarebbe avvenuto velocemente quando invece i problemi derivano proprio dal rilascio della garanzia.

 

Ci sono dunque delle analisi che la banca è tenuta per forza di cose a compiere prima di concedere il prestito richiesto…

 

Se ogni banca prestasse soldi senza un’istruttoria di fido si troverebbe di fronte a problemi ben maggiori in seguito. La banca quindi prima di tutto è costretta a compiere la propria istruttoria di fido, a valutare cioè la capacità di rimborso e questa operazione un certo tempo, seppur minimo, lo richiede. Inoltre vi sono delle norme di cui solo adesso si inizia a parlare, una è quella sul concorso in bancarotta fraudolenta. Ciò significa che se un domani la banca non dimostra di aver fatto tutte le analisi e le valutazioni corre il rischio di venire condannata penalmente. C’è anche un altro fattore, ossia occorre ora più che mai prestare attenzione alle norme antiriciclaggio. Tanto la Banca d’Italia quanto la Procura Generale della Repubblica sono intervenute per mettere in guardia - specie con questi finanziamenti garantiti al 100% dallo Stato - dalle possibili infiltrazioni mafiose. La malavita non è andata in quarantena e quindi il rischio che il denaro venga prestato a delle società dietro le quali si cela la criminalità organizzata - e non più quei soggetti che pensava ci fossero - è vivo più che mai.

 

Altra burocrazia ancora…

Il Fondo centrale di Garanzia, ossia il soggetto che per conto dello Stato rilascia la garanzia di firma, richiede tutta una serie di procedure, moduli, firme e adempimenti da eseguire correttamente per evitare un domani che il Fondo si impunti su un cavillo di questi e dia noie se e quando la banca si troverà a escutere la garanzia presso lo Stato.

La procedura così si allunga ancora di più…

Al momento le banche che hanno completato la loro istruttoria di fido e hanno inoltrato le richieste al Fondo centrale di Garanzia stanno aspettando che questo dia l’ok, che dica in sintesi “la garanzia di firma è perfezionata potete erogare senza problemi”. Quindi due pratiche: istruttoria di fido della banca e la pratica del Fondo di Garanzia che dovrebbe essere super veloce ma non lo è per quanto informino di stare accelerando.

Le banche territoriali come le Bcc che conoscono bene il territorio in cui operano, le famiglie e gli imprenditori è ovvio che tentano di accelerare la loro pratica poi però si trovano di fronte ai tempi di attesa imposti dal Fondo centrale di Garanzia. Una banca, come può essere la nostra, che conosce bene l’impresa che ha dinanzi a sé talora eroga il prestito senza attendere la garanzia dello Stato (in pratica la banca mette in conto che la pratica con il Fondo non è corretta e che esso un domani non interverrà a garantire) perché secondo noi quell’impresa è affidabile. Ma queste sono eccezioni.

 

Le Banche di Credito Cooperativo non dovrebbero vantare procedure più snelle e agevoli? Cos’è che le lega? Voi come vi state muovendo?

Le Bcc, da quando è stata data attuazione alla legge di riforma delle banche di credito cooperativo e sono partiti i Gruppi Bancari Cooperativi, sono equiparate ai fini della normativa bancaria ai mega colossi europei, quali Deutsche Bank, Société Generale, BBVA o Unicredit, cosiddette banche significant, senza contare che sono assoggettate alla vigilanza diretta della BCE. Pertanto le Bcc che dovrebbero essere le più snelle e agevoli sono in realtà soffocate.

Dal canto nostro abbiamo inviato una lettera sia al Presidente del Consiglio Conte sia, per conoscenza, al Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Il Premier ha chiesto alla banche di compiere un “atto d’amore” mentre il Ministro Gualtieri le esorta alla celerità. Udito questo nella nostra missiva abbiamo rilanciato sostenendo che - affinché un atto d’amore sia possibile e quindi i prestiti siano concessi velocemente - è necessario che questo atto sia compiuto da chi per vocazione e statuto può garantirlo e che dunque tutte quelle briglie che tengono le Bcc legate al palo vengano subito eliminate. Ѐ molto semplice: basterebbero delle piccolissime modifiche al T.U. bancario, gliele abbiamo anche indicate, modifiche che - sottolineo - avrebbero un impatto pari a zero sul bilancio dello Stato. Ѐ solo una questione di volontà.

 

Le raccomandazioni della BCE…

 

La Banca Centrale Europea, appena scoppiata la pandemia, ha inviato una serie di raccomandazioni alle banche di tutta Europa, tra queste quella di non distribuire i dividendi fino a ottobre. Ѐ stato - a mio avviso - come dire a uno squalo di non mangiare pesci fino a ottobre e allo stesso tempo come obbligare i pesci rossi (le Bcc- che tra l’altro di utili non ne distribuiscono per natura) a diventare - continuando ad assimilarle alle mega banche europee - carnivori.

Allora - ci si domanda - perché non riescono a fare quello scatto che metterebbe le Bcc nella condizione di operare sul e per il territorio senza vincoli e lacciuoli?

 

Tornando ai prestiti da € 25.000, Lei crede che siano la giusta misura per una reale ripartenza delle imprese?

Per quelle imprese che hanno interrotto la loro attività per un breve periodo e hanno avuto pochi disagi derivanti dal lockdown è ovvio che i € 25.000 possono essere utili. Per parrucchieri, estetiste o ristoratori invece che riapriranno - se riapriranno - a giugno e chissà con quali modalità e profitti poi, lo sono sicuramente meno. Molti imprenditori erano indebitati già prima del virus. A questi si sta praticamente dicendo di andarsi ad indebitare ancora di più. Può essere allora questa la cura efficace?

Ci sono giunte richieste da ogni settore, il tenere ferma un’economia per due mesi ha generato scompensi, è naturale. Ogni situazione poi è diversa dall’altra, tra il nero e il bianco le sfumature di grigio son tante: la banca fa fatica a dire no ai propri clienti e spero che intanto qualche modifica dall’alto arrivi.

 

Alla luce di questo, a livello macro quale sarebbe potuto essere secondo Lei l’intervento dalla vera “potenza di fuoco”?

 

Altri Paesi, come la Germania per citarne uno, hanno scelto la strada dei contributi a fondo perduto. Significa che i soldi ricevuti poi non vanno restituiti. Questa misura sì che ha un senso. O, in alternativa, se proprio la strada del contributo a fondo perduto in Italia non la si vuole imboccare, fare in modo - quanto meno - che il finanziamento sia non un debito a 6 anni ma almeno a 25-30 anni: così facendo la quota annua da restituire sarebbe stata di gran lunga più bassa, una sorta di contributo a fondo perduto insomma.

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Benedetta Luciani