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Fermo: LE IDEE DEGLI ALTRI. Il Fermano in crisi da anni. E' tempo di una svolta. Il pensiero di Marco Marcatili

Le Marche? Il Fermano? Non vanno per nulla bene. L'economia non gira. E non da oggi. A dirlo è Marco Marcatili, economista e responsabile sviluppo della società di studi economici Nomisma. Originario del Fermano, trasferitosi a Bologna per lavoro, Marcatili si occupa di studiare l’evoluzione dei sistemi economici, con particolare riferimento al contesto urbano territoriale e ambientale, di co-progettare piani di sviluppo e di valutare l’impatto ecosistemico delle decisioni di investimento. Sono venti anni, esordisce, che le Marche hanno «l'encefalogramma piatto», e sarebbe un gravissimo errore attribuire la colpa al COVID di oggi.

«La crisi del 2008 ha dato la mazzata più dura». Occorre rendersene conto senza ricorrere ad alibi. L'economista, che interviene al webinar promosso dalla Fondazione San Giacomo della Marca, mette il dito nella piaga. Il primo problema riguarda la produzione.
«Il 40-45% dei prodotti sono gli stessi di sempre, mentre il mondo cerca cose diverse».
«La produttività è bassa e, una volta che è stato pagato il lavoro delle maestranze, non ci sono più risorse per investimenti». Un ragionamento che chiama in causa la patrimonializzazione delle aziende e la volontà/possibilità di innovazione. 
Il secondo aspetto problematico è la dimensione aziendale. Non che piccolo sia male, ma i piccoli dovrebbero creare filiere per affrontare il mercato globale. E questo non accade. C'è poi quella che Marcatili definisce «la domanda di lavoro a basso contenuto di conoscenza».
Qui entra in campo l'estraneità delle realtà imprenditoriali rispetto alle università marchigiane. Come dire: le imprese non si avvalgono delle conoscenze sviluppate negli atenei e nel contempo le università hanno difficoltà loro proprie a dialogare con le imprese. Altro punto dolens: l'impresa pubblica che non s'è fatta carico dei problemi: in occasione del COVID ha ridotto il budget degli investimenti e ha chiesto la Cassa integrazione pur non avendone necessità.
Le Marche non hanno, da anni, un «progetto forte», e sono pochi quelli riguardanti lo sviluppo sostenibile. Si fatica inoltre a pensare al welfare come ad un investimento. Un errore clamoroso – e siamo passati al livello nazionale - sarebbe quello di continuare la politica del «contributo all'inazione».

C'è un altro aspetto che Marcatili pone in evidenza: mentre nel periodo del virus, nel bolognese l'economia cresceva, nel Fermano è accaduto il contrario. Per cui nel prossimo futuro – ma già da oggi – avremo sempre più marcata diseguaglianza territoriale.

Di cosa ha bisogno la Terra di Marca? Di tessuti produttivi connessi capitanati da trascinatori, sintetizza l'economista, di contratti di filiera, di cantieri trasformativi, di responsabilità aumentate, di sconfinamento al di là degli schemi consueti, di una valorizzazione delle reti sociali sviluppatesi in questo tempo e impensabili prima, e di una offerta culturale e sanitaria di qualità. In questi due ultimi ambiti cita il caso della Philip Morris che prima di investire nel Bolognese ha chiesto quali fossero le offerte effettive. C'è poi una necessaria riflessione sul significato del fare economia. Che è una costruzione – dichiara Marcatili – dove però viene trascurata l'evoluzione sociale e quella spirituale. Tematiche più volte sollevate anche in occasione delle Giornate dell'Economia in Camera di Commercio a Fermo. Sollevate sì ma guardate dalla platea con un certo distaccato sussiego.Puoi commentare l'articolo su Vivere Fermo


Adolfo Leoni