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Civitanova: Il ponte Morandi marchigiano crolla giorno dopo giorno

Mare, profumo di mare. Lo agognano i turisti umbri che si accalcano sulla superstrada. Lo sognano i milanesi che affollano l’A14. Un punto sulla cartina stradale li farà incontrare con gli effetti che conosciamo: Civitanova.

Tg e giornali dedicano ampie pagine a esodi e controesodi, raccontano delle drammatiche code che paralizzano la Liguria, decantano le lodi della ricostruzione lampo del fu ponte Morandi.

Anche le Marche hanno il loro ponte Morandi. Solo che non è caduto tutto in una volta, lo sta facendo un pezzettino ogni giorno. E nessuno sembra essersene accorto.

Ogni estate sul litorale marchigiano si consuma il dramma silenzioso della viabilità di casa nostra. La scellerata decisione di un decennio fa degli allora sindaci di Fermo e Porto San Giorgio di non volere la terza corsia sui territori dei loro Comuni ha creato un imbuto fragile all’altezza di Porto Sant’Elpidio, imbuto nel quale, ad ogni incidente o ad ogni aumento significativo del flusso viario, restano strozzate per ore le necessità di lavoro o le voglie di vacanza di tanti, tantissimi.

Troppi.

Un camion si schianta contro un cavalcavia? Caselli chiusi e decine di chilometri di coda da Loreto, passando per Civitanova e arrivando fino a Grottammare.

Un cantiere restringe la carreggiata? Traffico paralizzato per ore in autostrada, neanche parliamo della Statale.

Un viadotto da controllare? Meglio iniziare a pregare qualche santo.

Il tutto nell’indifferenza di chi potrebbe contare davvero. Perché raccontarcelo tra di noi, cittadini, politici e media locali, va benissimo, ma non basta. Serve che chi ha a cuore il territorio lo dimostri salendo in auto, evitando le code magari, e andando a Roma a sbattere i pugni sui tavoli dove si può decidere il destino di una regione intera.

Riaprire la partita della terza corsia dell’A14, pensare a un nuovo casello a Civitanova Nord/Porto Potenza, rilanciare il progetto dell’asse mediano dell’entroterra marchigiano, le idee non mancano. Ma è necessario che coloro che vinceranno la sfida di salire a Palazzo Raffaello nelle elezioni regionali del prossimo settembre facciano fronte comune ed inizino ad urlare. Ad urlare le sofferenze di una terra che non vuole andare al telegiornale per vanità. Ma perché non vuole morire in coda su una lingua di asfalto dimenticato.

 

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Marco Pagliariccio