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Fermo: Il sindaco di Fermo: il Covid che cambia la vita, sofferenza e speranza

Paolo Calcinaro sta meglio. È stato dimesso dall'ospedale. È tornato a casa. Lo abbiamo raggiunto perché ci raccontasse la sua esperienza umana prima che da sindaco di Fermo.
Ci interessava capire quali sensazioni e quali riflessione abbia fatto nei giorni di ospedale.
Il Covid cambia la vita e lo sguardo sul quotidiano

La prima reazione ai sintomi Covid: cosa ha pensato, chi ha chiamato?

«La prima cosa? Anche se in quella domenica pensavo fosse un attacco influenzale ho subito prenotato il tampone per la mattina successiva, poi ho detto a mia madre che avremmo dovuto comportarci, per estrema precauzione, come se fosse Covid: quindi mascherine entrambi dentro casa, e nessun contatto, e me ne sono rimasto chiuso in camera fino alla conferma del tampone, la mattina successiva. Dopodiché ovviamente ho chiesto a mia madre di allontanarsi, anche piuttosto frettolosamente, di andare nel suo appartamento».

 

Quando le hanno confermato la positività al tampone qual è stato il suo primo pensiero?

«Veramente non lo immaginavo: ho fatto il tampone sia rapido, per avere immediatamente un indizio, sia molecolare. Però, ripeto, anche se non lo immaginavo, avevo preso tutte le precauzioni a casa, riuscendo a non contagiare nessuno».

 

Quando è arrivato in ospedale ha avuto paura?

«No, anzi, ero sollevato perché sapevo che da quel momento ero in mano a professionisti che da mesi sono in trincea su casi come questo. Mi sentivo, ovviamente, più controllato».

 

Ha mai pensato di non farcela?

«No, quello mai. Un pensiero però è andato all’eventuale aggravamento, cioè ad essere sottoposto a misure più serie, come quelle di terapia intensiva. Lì il timore ti saliva. Un’altra sensazione veramente brutta, che possa essere anche di monito, arriva nel momento in cui ti senti dire che “per la piena ripresa dei polmoni e quindi per capire se recuperare la piena possibilità del ritmo di vita …bisogna attendere una Tac tra qualche mese”. Questo ti fa pensare come la drammaticità Covid non sia limitata alla morte, ma anche al danno, alla limitazione futura, anche in persone quasi giovani come mi ritengo io».

 

Cosa le è mancato di più?

«Due settimane in ospedale in una stanza e quattro dentro il mio appartamento di 80/90 mq., mi è dispiaciuto non essere accanto ad un amico in un momento per lui drammatico, quello sì. Il resto, lavoro o contatto umano, ovviamente mancava, ma sarebbe stata una questione solo di tempo. L’altro, invece, non si recupera».

 

Come ripensava, da malato, la sua storia personale e politica?

«Veramente ho avuto un segno di vicinanza incredibile da parte dei cittadini fermani e non solo, da parte delle istituzioni e anche da chi aveva ricoperto ruoli nel nostro territorio ma non era attualmente titolare di cariche. Questo è stato veramente importante e mi sento di ringraziare tutti: una vicinanza ancor più importante anche rispetto a quella sentita, pochi giorni prima, per l’esito delle elezioni».

 

Ha mai avuto il pensiero della morte?

«Quella la temo spesso, ma la temo per altro».

 

E cosa si è augurato se ce l'avesse fatta? Come si sarebbe comportato una volta uscito dall'ospedale?

«Di farcela ne ero certo, sempre. Il passaggio dalla stanza di ospedale, dalla quale non potevo uscire, alla mia casa, mi ha dato più libertà, un riconciliarsi anche con tanti segni domestici che normalmente sottovaluto».

 

Cosa è cambiato oggi in lei?

«Beh, una consapevolezza, soprattutto per i prossimi mesi: di ricavare un po' più di tempo per la cura della mia salute rispetto al vortice che a volte mi circonda. Questo ora è un aspetto necessario, ma ho visto grande abnegazione dei colleghi di giunta e dei consiglieri subito dediti a “coprire” il mio lavoro, quindi sarà un modo ti lavorare ancor più in team».

 

Alla luce di una esperienza di sofferenza, come si porrà come amministratore pubblico di fronte ai cittadini?

«Sul tema del Covid ero prudente prima e lo rimango ancor più ora, i numeri si stanno alzando a dismisura ma temo, e parlo a livello di nazione, che la solidarietà e la condivisione della prima ondata stia lasciando spazio ad una visione personalistica. Troppe alzate di scudi o troppe polemiche senza proposte serie. Troppa esposizione mediatica anche di esperti che arrivano a beccarsi tra di loro dando un esempio veramente pessimo alla comunità. Nella politica, da una parte troppi annunci o proclami che non hanno seguito o che hanno un seguito molto stentato, e dall’altra troppa critica a prescindere, realmente inutile. Servirebbe una coesione nazionale, ma non la vedo. In questo Fermo dà un piccolo esempio, dalla sua politica di maggioranza o minoranza, alle sue componenti sociali fino a cittadini, un piccolo esempio di utile consapevolezza e responsabilità, credo».

Auguri a Paolo, che è anche sindaco!

 

 

 

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Adolfo Leoni